Le implicazioni della consapevolezza:
Etica ed Intelligenza Emotiva
Etica, dal greco ethos, significa “comportamento: in un contesto sempre più fluido come quello che stiamo vivendo, ci dà la possibilità di avere una visione più chiara di ciò che ci circonda. Inoltre, ci permette di assegnare uno status alle nostre azioni, legittimando o meno la condotta umana: anche se non esiste una connotazione oggettiva a causa di numerosi sistemi di riferimento, l’etica contribuisce a fornire indicazioni su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato. Questo aspetto viene sottolineato dalle sue funzioni: l’etica viene considerata come un’istituzione normativa e sociale, ponendosi ad un livello elevato che condiziona l’individuo, il quale interiorizza un insieme di valori socialmente costruiti sotto forma di morale.
Ma qual è il rapporto tra Etica ed Intelligenza Emotiva?
L’etica nasce come un esercizio di determinazioni razionali per poi instaurare, nel tempo, un rapporto reciproco con la dimensione emotiva. Ribaltando completamente l’iniziale paradigma che sosteneva l’emotività come una semplice risposta alla componente razionale, si è arrivati a sostenere l’esatto contrario, stabilendo il ruolo fondamentale delle emozioni nella questione morale. L’alfabetizzazione emotiva, dunque, permette alle persone di essere individui capaci di collocarsi all’interno di un contesto regolato: la responsabilità individuale di farci carico delle nostre emozioni si traduce nella possibilità di creare valore per la collettività.
In tal senso, parlare di etica, significa avere una visione più ampia delle sfide che dobbiamo affrontare: per farlo in relazione alle nostre emozioni, occorre pulire la nostra lente, cioè cercare di non farci condizionare dagli schemi con cui di solito filtriamo la realtà. Farci domande su noi stessi mettendoci costantemente in discussione ci permette di riflettere, fermarci e andare in maggiore profondità. Senza autoconsapevolezza non possiamo approcciare la questione morale: dal modello Six Seconds, la dimensione awareness costituisce un punto cruciale per analizzare al meglio il contesto con occhi imparziali. E anche se non avremo mai la risposta giusta, più acquisiamo informazioni più riusciamo ad arricchire il quadro riducendo il potenziale errore di lettura. Questo ci permette di conoscere e, soprattutto, conoscer-ci.
Tutto ciò fa parte dell’approccio dell’Intelligenza Emotiva. Non ci sono né regole né certezze ma solo linee guida attraverso le quali costituire processi di miglioramento, di evoluzione. Questo si crea all’interno di un percorso che tende ad una stella polare, un Noble Goal che dà all’Intelligenza Emotiva una connotazione strategica. Anche in questo caso, il modello Six Seconds, prevede una dimensione chiara come la self direction intesa come una serie di precise linee guida di definizione personale. Il Noble Goal, difatti, si formula a partire dalle riflessioni sui valori individuali che le emozioni ci aiutano a decifrare: partendo dalla nostra parte emozionale siamo in grado di consegnare valore al sistema in cui siamo inseriti.
Ma quindi a cosa servono consapevolezza e direzione?
Se al crescere di queste due componenti rimaniamo quotidianamente gli stessi rischiamo la frustrazione, cioè la frustrazione di sapere tanto ma di non riuscire a tradurre tutto ciò in azioni emotivamente intelligenti. L’obiettivo è quello di mettersi in gioco, andando sempre più a definire le nostre emozioni in un processo di miglioramento costante. Queste sono le implicazioni della consapevolezza: l’Intelligenza Emotiva è azione, nonché la volontà di trasformare la teoria in pratica. Generare tutto ciò in azione collettiva costituisce un processo di trasformazione. Un processo evolutivo dell’esistenza umana.
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